Il Piacere delle abitudini.
Le abitudini sono come una fune. Ne intrecciamo un trefolo ogni giorno e ben presto non riusciamo più a spezzarla. (Horace Mann)
Nella scorsa uscita di Spuntini, ho esplorato le qualità per vivere bene. Le pratiche e i percorsi che offro vanno tutti in quella direzione, perché è sempre possibile cambiare - la mente è plastica - e vivere bene. Il corpo e la mente ce lo permettono, se li trattiamo con riguardo e attenzione .
Ma allora perché è così difficile cambiare? Diciamo innanzitutto che cambiare è un processo complesso. Il cosiddetto ciclo del cambiamento è fatto di fasi che sono le stesse per ognuno di noi: si tratti di iniziare un’attività fisica per il nostro benessere, o di smettere di fumare, o di adottare un atteggiamento diverso dall’andare in escandescenze quando ci arrabbiamo, o di mangiare meno cioccolato, le fasi dalle quali passiamo per cambiare abitudini sono sempre le medesime. Ciò che differisce è come esprimiamo la resistenza al cambiamento.
In Mindfulness, ad esempio, si parla di ostacoli alla pratica, per riferirci ad ogni volta che qualcosa ci impedisce di praticare uno o più giorni, non permettendoci di inserire la pratica nella nostra quotidianità. Inserire la meditazione di consapevolezza nella nostra quotidianità costituisce in questo caso il nostro obiettivo di cambiamento e gli ostacoli costituiscono i modi in cui si manifesta la nostra resistenza al cambiamento, che siano mancanza di tempo, troppi impegni, stanchezza, fastidio durante la pratica e interruzione della stessa, ecc…
Qualunque sia il tipo di ostacolo che si intromette tra noi e il nostro cambiamento desiderato, può ricadere anch’esso, come per le fasi del ciclo di cambiamento, sotto specifici cappelli-categorie. Proveremo ad esplorare le principali, e ad imparare a riconoscere le nostre forme di resistenza, perlomeno le principali che ricorrono nell’esperienza che faccio in studio, nei miei corsi, nonché facendo i conti con me stessa 🙂
Oggi, però, prima di passare ad esplorarli, facciamo un passaggio preliminare: spesso gli ostacoli sono piacevoli e ricorrenti, abituali, ed è questo piacere abitudinario (reale o idealizzato che sia), che ci fa da freno. Provo a fare riferimento ad alcuni degli esempi che facevo sopra: se sono stanca, il riposo spiaggiata sul divano, o a letto, a prescindere dal tipo di stanchezza che sto provando, è il mio vero ostacolo, non la stanchezza in sé; se provo fastidio durante la pratica e interrompo per andare verso sensazioni, pensieri, emozioni più piacevoli, questa tendenza al piacere e fuga dal disagio è l’ostacolo, non il disagio in sé.
Spesso parlo del corpo come di una mappa del tesoro, ricca di indizi da osservare e a cui dare seguito per stare bene, per andare verso il piacere nella vita, ma, ahinoi!, gli esempi appena fatti iniziano a farci venire qualche dubbio. Se da un lato la spinta al piacere è un meccanismo di risposta fisiologica che ci avvicina a ciò che ci fa bene e ci allontana da ciò che costituisce un disagio (una minaccia, nei termini dell’evoluzione della specie), dall’altro l’intoppo risiede nel fatto che il piacere è registrato nei circuiti che suscitano dipendenza. Diventa allora chiaro che, se alla stanchezza abbiamo sviluppato la risposta automatica del riposo a letto, questo può andare bene se ho dormito poco, o se mi sono stancata con una bella partita a tennis, ma non sempre è utile: a compensare una grande stanchezza mentale ed emotiva può essere talvolta più utile una passeggiata a fine giornata, ma il nostro organismo ci allontana da quel primo passo necessario a metterci in moto per uscire, che viene percepito come faticoso e spiacevole. Altro esempio: se di fronte al disagio abbiamo sviluppato la risposta automatica dell’evitamento, questa si manifesterà anche durante la pratica che può metterci in contatto con piccoli e grandi disagi fisici e mentali, ma finché non familiarizziamo per bene con ciò che ci crea disagio, non abbiamo veramente il potere di cambiarlo. Anche in questo caso, dunque, la tendenza al piacevole, in fin dei conti, a lungo andare, ci creerà più danno che beneficio.
La dipendenza suscitata dal piacere, dunque, è un automatismo. Questo è un aspetto importante per mettere in una nuova prospettiva ciò che ci ostacola e che ci allontana di qualche passo dalla felicità e da un buon equilibrio nella nostra quotidianità. Piacere, ma non troppo, dunque? Lo scopriremo solo vivendo, come cantò qualcuno.
Cristina
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