Nella scorsa newsletter, ho introdotto il cambiamento dalla prospettiva degli ostacoli che ci si presentano quando tentiamo di metterlo in atto: se le fasi dalle quali passiamo per cambiare abitudini sono sempre le medesime, ciò che differisce è come esprimiamo la resistenza al cambiamento. Questa resistenza costituisce ciò che si frappone tra ciò che è e ciò che vorremmo che fosse.
Prima di passare a esplorare quali sono le principali resistenze e come si manifestano, vorrei fare qualche cenno alle fasi che attraversiamo quando desideriamo abbandonare un’abitudine e sostituirla con una nuova: ad esempio quando intendiamo diminuire il consumo di cibi confezionati in favore di cibi freschi, oppure inserire più attività all’aria aperta e in gruppo, in favore di uno stile di vita meno sedentario e maggiormente favorevole al nostro benessere psico-fisico.
Il modello di riferimento che individua le sei fasi da cui passiamo per cambiare è la ruota del cambiamento descritta nel 1980 e ancora oggi attuale. La sua attualità risiede soprattutto nel mettere in evidenza, con la sua forma circolare, che in qualunque processo di questo tipo, compiamo diversi giri prima di ottenere una variazione stabile. Tra le sei fasi che individua, infatti, include la fase di ricaduta: viene normalizzata, dato che ogni cambiamento, per diventare permanente, ha bisogno in media di 3-4 giri di ruota e quindi di altrettante ricadute.
Lungi da me sostare su ognuna delle sei fasi previste, preferisco concentrarmi su due fasi che trovo particolarmente salienti: una, in realtà, non è considerata all’interno della ruota e mi permetto di aggiungerla del tutto arbitrariamente come fosse la settima fase. Si tratta della motivazione, o meglio, dell’intenzione: la fase in cui contattiamo la o le nostra/e intenzione/i personale/i è un momento a sé, che ha bisogno del giusto tempo e del giusto ascolto, prima che passiamo alla determinazione del cambiamento e all’azione. Non è sufficiente enunciare velocemente l’intenzione che ci muove: l’intenzione è fase preparatoria ed essenziale a qualsiasi processo di cambiamento personale. Se nei momenti di difficoltà è facile perdere di vista tutte le buone ragioni che ci hanno mosso e sentirci affondare nella palude dello scoraggiamento, dare spazio ed esplorare ogni versante e ogni impatto sulla nostra vita delle motivazioni personali che ci orientano al cambiamento, ci permette di bonificare il terreno su cui andremo a costruirlo. Così facendo, infatti, rinforziamo l’impegno verso un obiettivo specifico, perché chiariamo e sottolineiamo la possibilità di andare verso una migliore situazione. Tale rinforzo ci tornerà utile nelle fasi successive e, soprattutto, nell’ultima fase: la ricaduta.
La ricaduta è l’ultima fase della ruota del cambiamento ed è la seconda fase su cui voglio soffermarmi un momento. La ruota considera la ricaduta come un evento normale e del tutto prevedibile, anzi di più: lo considera alla stessa stregua delle altre fasi e quindi necessaria.
Ogni ricaduta ci avvicina di un passo alla meta e per questo motivo preferisco chiamarla ripartenza. Quando ricadiamo, infatti, lo facciamo dopo esserci alzati e dopo aver percorso almeno qualche passo, quindi non cadiamo nuovamente nello stesso punto da cui eravamo partiti, ma in un punto diverso e più vicino al nostro cambiamento. Nella strada percorsa in precedenza, inoltre, abbiamo allenato il passo e abbiamo fatto fiato. Partiamo nuovamente, quindi. Partiamo nuovamente perché nuovo e diverso dal precedente è il punto in cui ci risolleviamo e cominciamo a muovere nuovi passi, perché nuovi e diversi siamo noi da come eravamo fino a qualche passo prima.
Ecco allora che di fronte agli ostacoli al nostro cambiamento, è possibile considerare di cedere, di cadere e poi di rialzarci e ripartire con più esperienza e miglior tono di prima.
Cristina
PS: Possiamo fare un piccolo esperimento. Proviamo a restare in piedi sollevando un piede e restando in equilibrio su una gamba sola. Prima o poi perderemo l’equilibrio. Se ripetiamo l’esercizio alcune volte di seguito, possiamo accorgerci di quanto la nostra postura, di volta in volta, diventi più stabile: aggiustiamo la posizione del piede, del ginocchio e di tutta la muscolatura coinvolta e lo sguardo progressivamente si abitua a mantenersi ancorato su un punto davanti a noi, anziché muoversi con gli ondeggiamenti del corpo. Tutto questo, di volta in volta, ci permette di ripartire nell’esercizio con più esperienza, efficacia e fiducia. Magari, sorridendo anche un po’ di noi, quando umanamente perdiamo nuovamente l’equilibrio.
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